11 gennaio 2006

Racconti / Il lago


L’alba dipingeva filamenti rosa tra le nuvole bigie di quel mattino strano e inaspettato. Avevo lasciato le persiane aperte, la sera prima. Scostai le tende appena, per guardare. Non mi aspettavo un panorama così meraviglioso. Solo qualche gabbiano che sorvolava il lago, e sulla riva opposta un conglomerato di casette antiche così bene immerse tra le chiome verde ramato degli alberi, mentre alle spalle saliva la collina, dolce di curve morbide

Mi rotolai ancora tra le coperte, cercando di richiamare il sonno prima che l’alba diventasse giorno. Sforzo inutile. Ero troppo emozionata di quella avventura in cui finalmente ero fuori dal mondo. Qualche rapido conto mentre mi vestivo, come un vecchio tirchio conta i soldi accumulati, io contavo i minuti che ancora mi rimanevano in quella piccola cittadina che già amavo. Colazione a buffet, nel vecchio albergo della stazione.

Mi guardai intorno scoprendo nei pochi clienti visi stranieri di turisti felici. Come me, in fondo. Come sempre mi accade quando posso mangiare ciò che voglio, non avevo appetito. Ma non mangiavo dal mattino precedente, così mi sforzai di addentare un panino sapientemente imbottito di burro e prosciutto cotto.

Cioccolato caldo a cotè ed ero di nuovo in piedi. Fuori le nubi avevano vinto sul sole. L’aria era fresca e pungente, ma asciutta, nonostante la pioggia avesse imperversato fino a qualche ora prima. Mi attardai lungo il lago, soffermandomi oziosa ad osservare i cigni maestosi ed alteri che riservavano beccate altezzose e distratte, di quando in quando, a starnazzanti germani con cui dividevano svogliatamente la distesa di acqua. Sotto il pelo dell’acqua distinguevo nitida la sagoma di enormi carpe, grasse e beate, che evidentemente non si lasciavano facilmente irretire dai pigri pescatori occasionali che si alternavano alla ringhiera intorno al lago. Lasciai il lago per addentrarmi nel paesino, curiosa e golosa come una bimba di fronte ad una torta mai mangiata.

Lessi diligentemente poche note storiche che descrivevano le origini più remote della bella cittadina e mi crogiolai nel silenzio del mattino, quando ancora nessuno pervade le strade riempiendola di passi e saluti rapidi e indistinti. Ecco la chiesa che mi aveva dato la sveglia.

Riconobbi il campanile dalle poche campane stonate. Non avrei mai creduto che una non melodia potesse colpirmi tanto quanto quella serie di suoni disarticolati e stonati.. come una campana. Il sapore era identico a quello delle zuppe mangiate nella casa dei contadini, quando sei un ospite inatteso e siedi al desco quotidiano dei tuoi ospiti. Genuino.. speciale. Amo quel paese. Comprerò una casa li, per usarla quando sono in guerra con il mondo.

C’è in tutti noi un luogo in cui ci sentiamo in pace ed io credo di averlo individuato, dopo tanti pellegrinaggi in giro per il mondo.

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