04 gennaio 2006

Racconti / Via da Myr due

Capitolo 2 (Elviliwyn di Noldor)

Non mi capita spesso di riflettere sul valore dell’eternità … è una di quelle cose che quando ce l’hai la dai presto per scontata, ti abitui ad essa e non ci fai più caso, una di quelle cose di cui si direbbe che te ne accorgi solo quando ti manca, tipo la salute, la luce o l’aria, o quando le vicende della vita di ricordano che non tutti sono elfi, non tutti virtualmente con un’eternità da spendere.

Eppure, se di solito la cosa peggiore che possa capitare con un’eternità a disposizione è il susseguirsi di giorni normali, oggi è uno di quei giorni che vorrei ordinario, insignificante, come tanti altri, uno di quei giorni che non entri nell’elenco di quelli da ricordare. Forse perché dopo una notte in cui nemmeno l’immersione totale nella natura ha saputo placare la mia rabbia e il mio dolore, mi ritrovo ancora così, con il cuore infranto e l’animo che non sa darsi pace per non riuscire a comprendere la follìa degli umani.

Ancora mi ritrovo a discutere con fratelli elfi, e nonostante sia uno degli elfi che più di molti altri si sforza di capire ed accettare le bizzarrie del comportamento umano, stavolta proprio non riesco a concepire di averla persa … “Elviliwyn, elfo giovane e testardo, ve l’avevo detto di non dar fuoco al vostro cuore per un’umana”, mi rimprovera un fratello anziano, cui confido il triste epilogo della mia passione per lady Carmilla, conosciuta nel bosco di questo Regno subito dopo il mio arrivo … “Prometterle addirittura di rinunciare alla vostra eternità per lei”, scuote la testa rincarando la dose. “Eppure ne ero certo fratello” ribatto con convinzione assoluta, sicuro che rifarei ogni passo di quel sentiero rivelatosi ora cieco, “Voi non l’avete vista, non avete sollevato la sua veletta e guardato i suoi occhi verdi come smeraldi, non avete veduto il fuoco dentro il suo cuore, la sua voglia di vivere, il suo ardente desiderio di assaporare ogni goccia della singola vita che le era concessa”.

Nonostante i loro limiti, sono affascinato dagli umani, perché ho capito che avere una vita limitata a disposizione impone loro di essere così, schiavi delle passioni in modo talvolta così forte da annullarne completamente la razionalità, incapaci di ponderare le conseguenze di scelte doverosamente affrettate finchè la consapevolezza della vita ormai vissuta infonde loro un po’ saggezza.

E proprio per questo non so darmi pace, non so capacitarmi del fatto che lady Carmilla abbia deposto la sua bellezza, la sua vitalità, la sua voglia di scoprire e gustare la breve vita umana che aveva davanti a sé ai piedi dell’oscurità, scegliendo di non vivere, di farsi schiava di un cainita in cambio del nulla quando le avevo offerto una vita in pienezza insieme a me.

Gli umani sono fragili e inaffidabili Elviliwyn, noi primogeniti non dovremmo mischiarci con questi esseri inferiori” gli fa eco un altro solone dell’integralismo elfico, quello che ha portato la nostra razza alla quasi estinzione, all’essere considerati superbi e antipatici da tutti, e all’abbandonare il mondo nelle mani proprio degli umani senza più aiutarli con la nostra magìa, la nostra sapienza millenaria e la nostra conoscenza profonda della natura, per paura di contagiare la nostra essenza.

Mi alzo sbottando, indeciso se odiare più gli umani o gli elfi, così irrazionali i primi e così altezzosi i secondi, chiedendomi il mio animo a quale specie possa mai appartenere. Muovo i miei passi verso un luogo solitario, ma scopro di odiare ancor di più la solitudine oggi, che con il suo silenzio rigira senza pietà il coltello nella piaga del mio cuore ferito, così invece mi risolvo a mischiarmi nel caos della gente e nell’angustia di un luogo chiuso, comportamento invero poco elfico.

Dopo aver camminato per alcuni minuti avvolto nel mantello dei giorni neri e completamente incappucciato, entro in locanda mantenendo a fatica l’eleganza nei movimenti, e cercando di farmi notare il meno possibile, dopo aver dato un rapido sguardo al bazar di razze diverse che la popola, mi dirigo direttamente al bancone optando per un boccale di sidro, quasi confidando che l’alcool sappia in qualche modo rimettere al loro posto i tasselli di un mosaico che mi pare ormai irriconoscibile.

I miei acutissimi sensi non mi permettono di evitare il brusìo di voci che si accavallano come in un mercato affollato … cerco di isolarmi da esse sorseggiando il mio sidro con gli occhi socchiusi, ma questo non fa altro che esaltare la solitudine del mio cuore infranto.

D’improvviso un rumore mi ridesta, il cigolìo del legno di uno sgabello vicino su cui qualcuno sta per sedersi … mantengo gli occhi socchiusi, indeciso se accettare il prevedibile fastidio di qualcuno che vorrà coinvolgermi in qualche banale discorso da locanda o proseguire a lottare contro il mio fastidio interiore.

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