01 agosto 2006

Racconti / Il respiro dell'anima

Si rigirò sul letto sfatto, mentre il sole dell’estate filtrava timidamente fra le inevitabili fessure dei vetusti scuri. Mise il braccio sotto il cuscino, tentando inutilmente di assopirsi e di strappare così un ultimo breve sogno alla sua dibattuta e combattuta realtà. Si trattò di un breve tira-e-molla, poi il suo lato cosciente - e razionale - prese il sopravvento e si trovò seduto, in mutande, sul bordo del letto.

La testa era pesante, grazie alle innumerevoli birre che l’avevano accompagnato nelle ore più buie e più fresche della notte. Il cuore, pure lui pesante e lacerato da veloci e immaginari amori, batteva sordo nel petto. Lo sentiva pulsare chiaramente nella grande casa silenziosa che era il suo corpo. Si alzò e andò in bagno. Il contatto dei piedi nudi sul pavimento fresco era piacevole, come l’acqua sul viso. Si guardò allo specchio: niente barba. Non ne aveva voglia, aveva poca voglia di fare qualunque cosa. Pensò, di sfuggita, e con un po’ di angoscia, alle bici in garage, mentre sorseggiava un caffè, il primo di quel giorno. Sfogliò distrattamente un libro di Fernando Pessoa.

Lesse: “Esiste una stanchezza dell’intelligenza astratta ed è la più terribile delle stanchezze. Non è pesante come la stanchezza del corpo, e non è inquieta come la stanchezza dell’emozione. E’ un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l’anima”.

Inspirò profondamente, avvertendo la piacevole sensazione dei polmoni che si gonfiavano. Anni prima, quando ancora fumava, non ricordava di profonde respirazioni, ma blocchi di catrame nel petto, chiodi piantati tra le costole. Ci fece caso, la sua anima non respirava. Era occlusa, inquinata da chissà quali veleni, proprio come lo erano stati i suoi polmoni, anni prima. Ma tornare a farla respirare liberamente non era una questione da poco, non bastava la volontà, ferrea, di rinunciare alle sigarette, di buttarle nel cesso una volta per tutte. Il nemico era un altro. Il nemico era molti nemici. Subdolo, invisibile, tenace, cinico e sfuggente. Non poteva e non riusciva a dargli una fisionomia, un aspetto, ad identificarlo con qualcosa o qualcuno. Non la vedeva, la bestia feroce che gli teneva il cuore tra gli artigli e l’anima tra le fauci. E più lui si dibatteva nel tentativo di liberarsene, e più la bestia stringeva dolorosamente la presa.
Il cane gli si avvicinò, scodinzolando, era felice di vedere il suo amico a due zampe. Lui gli diede una grattatina affettuosa dietro le orecchie e il cane lo seguì, camminandogli a fianco, mentre passeggiava per il cortile, con una ridda di pensieri che gli affollavano la testa e che gli appesantivano, come macigni, il cuore. La vita, in certi momenti, diventava un insostenibile logorìo, se ne rendeva conto, e pensò che non temeva la morte, in sè. Quasi sicuramente rappresentava la liberazione da mille scomodi fardelli, da milioni di inutili pensieri, non solo una separazione, bensì una comunione, l’incontro-scontro finale col suo io, col suo ego. Ci pensava spesso, alla “mietitrice”, ma non si sentiva ancora pronto ad incontrarla: per quanto la vita lo logorasse, per quanto poco capisse sé stesso e la sua esistenza, non era ancora pronto per un salto di quella portata. Preferiva rilassarsi tra una battaglia e l’altra, tra un pensiero nocivo e l’altro, pedalando o camminando nella Natura, tra le braccia di colei che considerava la sua grande, tenera, Madre. Preferiva passare il tempo con i suoi fratelli alberi, coi suoi fratelli animali, con la sua anima di uccello notturno. In quei momenti apprezzava infinitamente il fatto di vivere e provava una profonda, sincera, gratitudine per Colui che aveva creato tutto, che aveva permesso che nascesse. Si sentiva felice, libero, la sua anima sembrava respirasse un po’, sembrava, ma probabilmente era davvero così. Con l’aria in faccia e un cielo sopra la testa tutto appariva diverso, anche se pioveva e la luce del sole era pallida, confusa dai nuvoloni grigi che sembravano saturare l’ambiente.
“Il tempo è come i pensieri, passa inarrestabile. Bene”, pensò, mentre si sedeva alla sua scrivania e sceglieva la sua penna preferita dall’affollato portapenne, “proviamo a fermarlo, almeno per un istante”, e cominciò a scrivere. “Si rigirò sul letto sfatto, mentre…”

2 commenti:

Non voto a vuoto ha detto...

... letto tutto d'un fiato.

Davvero molto bello, un respiro di anima..veramente.

Anonimo ha detto...

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